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LA CONTEA DI RONCIGLIONE di Luciano Passini (Presidente del Centro Studi e Ricerche di Caprarola)
Nella Bolla Pontificia di erezione del 1537, concernete la creazione del Ducato di Castro a favore di Pier Luigi Farnese, venne compreso il territorio della "Contea di Ronciglione", considerata sempre come uno Stato a se stante e che, seppur territorialmente più piccolo, di sicuro rivestiva un ruolo strategicamente rilevante per la sua vicinanza con Roma e per le industrie ronciglionesi; questo Stato comprendeva una parte dei Cimini, il lago di Vico ed un vasto territorio che si estendeva dalla via Cassia fino alla valle del Tevere nella zona di Borghetto ove era attivo un porto fluviale importante per i collegamenti commerciali con Roma. I principali Centri della Contea erano Ronciglione (con funzioni di capoluogo politico), Caprarola, Fabrica di Roma, Canepina, Vico, Borghetto, Vallerano, Castel S.Elia, Corchiano e Nepi. Quest’ultima località - insieme a Camerino - nel 1545 tornò alla Chiesa in quanto inserita nella permuta con i territori di Parma e Piacenza. Apparteneva a questo Stato anche Isola Farnese la quale, pur trovandosi alle porte di Roma, venne acquistata dai Farnese nel 1567 entrando quindi a far parte della Contea di Ronciglione. L'istituzione del Ducato di Castro e della Contea di Ronciglione, ricavato sottraendo vasti territori dall’amministrazione della Chiesa, fu un grande atto di nepotismo da parte di Papa Paolo III ed all'epoca fu tollerato soltanto per la grande potenza raggiunta dai Farnese e per il fatto che la maggior parte di quei territori era già proprietà di quella nobile famiglia. Numerosi furono i privilegi concessi da Paolo III al piccolo ducato del figlio; tra quelli di carattere economico, ad esempio, vi era anche il privilegio di battere moneta ([1]). La zecca impiantata nella città di Castro funzionò soltanto dal 1542 al 1547 ma ben pochi sanno che era stata predisposta una zecca anche a Ronciglione, ma non si hanno dati certi sul suo effettivo funzionamento. Quando nel 1545, venne creato il Ducato di Parma e Piacenza, la necessità di dedicarsi al governo di un vero Stato di importanza europea spinse Pier Luigi Farnese ad abbandonare con tutta la sua corte la piccola e provinciale Castro, la cui investitura venne concessa al figlio Ottavio. Questo ulteriore e clamoroso atto di nepotismo da parte di Paolo III, non passò senza contrasti, tanto che nel 1547 Pier Luigi fu trucidato in una congiura di corte per istigazione di don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano e stretto collaboratore dell’imperatore Carlo V. Iniziò quindi una serie di lotte per l'investitura, anche a seguito della morte di Paolo III nel 1549. Il nuovo Pontefice Giulio III, che in un primo momento aveva confermato i ducati ai Farnese, dati i vari intrighi che stavano tramando i figli di Pierluigi - Orazio, Ottavio ed il card. Alessandro - cambiò opinione. Pertanto, nel 1551, il ducato di Castro e Ronciglione fu occupato dalle truppe pontificie ([2]); Parma era già stata occupata e Piacenza era presidiata da truppe spagnole. Comunque, grazie ad una accorta attività politica posta in essere dal card. Alessandro, la potenza della famiglia riuscì a riaffermarsi, consentendo ai Farnese di mantenere i propri Stati; Giulio III nel 1553 confermò l'investitura di Parma ad Ottavio Farnese. Il ducato di Castro passò all'altro figlio di Pier Luigi, Orazio Farnese ed alla morte di questo nel 1553 tornò definitivamente al fratello Ottavio che lo trasmise ai suoi successori insieme a quello di Parma e Piacenza. Con il Trattato di Gando del 15 settembre 1556 i Farnese riacquistarono anche Piacenza. Nel frattempo sul pianoro limitrofo al bosco del Lamone, ove da secoli sorgeva la città di Castro, venne attuata una potente opera di fortificazione con la costruzione di grandi bastioni e con il potenziamento delle preesistenti muraglie. A queste opere dovevano contribuire tutte le città del Ducato e quindi anche della Contea di Ronciglione, sia dal punto di vista economico, sia fornendo la mano d’opera. Durante il periodo della costruzione del Palazzo Farnese, il Card. Alessandro esonerò Caprarola da questo obbligo in quanto impegnata nei lavori per quell’edificio ([3]); nonostante questo il Giudice di Ronciglione sollecitò più volte i Priori di Caprarola a contribuire, ovviamente senza successo. Considerata la sua importanza, sotto l’aspetto economico e politico, l'amministrazione dello Stato di Castro venne posta sotto la guida di un Governatore Generale che rappresentava in tutto e per tutto il Duca; egli veniva coadiuvato dai Giudici (uno per Castro e uno per Ronciglione) e dai Podestà, tutti nominati direttamente dalla Casa Ducale e sotto il totale controllo dei cardinali di Casa Farnese. Nei paesi i Priori gestivano i beni locali su direttive dei rispettivi Consigli Comunali e sotto la guida del Podestà che amministrava la giustizia curando i diritti ed i proventi spettanti ai Farnese. I servizi burocratici erano demandati agli Officiali ([4]). Le sentenze venivano fatte rispettare dal Bargello, uno per Castro ed uno per Ronciglione, il quale aveva alle dipendenze alcuni soldati con compiti di polizia. A vari Capitani, sotto il comando di un Colonnello, spettava il compito di difendere militarmente il territorio e le fortezze del ducato. Nel 1585 la comunità di Caprarola pagava 3 scudi mensili per il mantenimento del Bargello di Ronciglione e 1 scudo mensile per il mantenimento del Colonnello. La Milizia cittadina, sotto il comando del “Capitano della rassegna”, era composta da un certo numero di cittadini, a rotazione, senza distinzione di rango, i quali dovevano custodire le armi che gli venivano consegnate dalla Comunità. La Milizia di Caprarola composta di fucilieri, tamburini e trombettieri, disponeva anche di bombarde, balestre e corazze. Per quanto riguarda tutte le Comunità della Contea di Ronciglione, l'organizzazione Comunale era composta da 46 persone: 4 o 6 Priori o Anziani (che venivano eletti ogni quattro o sei mesi), da 35 Consiglieri (che venivano eletti ogni sei mesi), da un Cancelliere (o Segretario che rimaneva in carica un anno), un Camerario (o Camerlengo) e da vari Officiali eletti di volta in volta a seconda delle esigenze. Faceva eccezione Caprarola che aveva un numero inferiore di Consiglieri (30). Il Podestà doveva essere sempre un forestiero nominato dal Giudice di Ronciglione su delega del Governatore Generale. Per quanto concerne Caprarola, le riunioni del Consiglio venivano convocate con il suono della campana del Palazzo dei Priori ed a mezzo di chiamata da parte dei Priori stessi. Nel corso delle riunioni i Priori esternavano le varie proposte, leggevano le suppliche dei cittadini o le lettere delle varie autorità, mettevano a conoscenza il Consiglio delle esigenze della Comunità, ecc. Quindi ogni decisione veniva presa a maggioranza in due modi: "viva voce" (cioè espressamente) oppure, in caso di disaccordo, per “imbussolamento”. L'imbussolamento (che avveniva quasi sempre in modo palese), funzionava mediante l'introduzione di lupini in due bussole, una "nigra" (nera) per il no ed una "rubea" (rossa) per il si. In un primo momento al posto delle bussole venivano usati due berretti ("barietti"). Il Cancelliere (generalmente un notaio) era quello che registrava le proposte dei Priori e le decisioni del Consiglio sui libri Comunali che dovevano essere conservati secondo delle regole ben precise all’interno di una cassa chiusa con doppia chiave. Il Camerario (chiamato anche Depositario) aveva compiti di cassiere. Ad ogni elezione venivano nominate delle persone con l’incarico di svolgere un compito di controllo circa l’attività dei Priori e del Podestà (i Syndaci). Normalmente l’elezione dei Priori di tutte le Comunità veniva effettuata a Castro sotto il controllo del Governatore. La Comunità di Caprarola faceva eccezione a questa regola; infatti il Consiglio di Caprarola poteva eleggere i propri rappresentanti direttamente, senza recarsi ne a Castro ne a Ronciglione. Questa probabilmente fu una prerogativa legata alla frequente presenza dei Cardinali Alessandro e Odoardo.
Il vantaggio della Contea di Ronciglione rispetto a quello più grande di Castro fu la vicinanza con Roma (una giornata di cavallo) e questo consentì una presenza pressoché assidua da parte degli esponenti della Casata Farnese con la logica conseguenza che ogni località dello Stato usufruì in maniera più o meno visibile del loro mecenatismo. Caprarola subì una totale ristrutturazione urbanistica in funzione della costruzione del Palazzo Farnese e praticamente tutte le chiese dei vari paesi furono ristrutturate e arricchite di opere d’arte. In definitiva tutti i territori e le città che furono governati dai Farnese conservano la loro impronta sia nella struttura urbanistica che nei grandiosi edifici pubblici e privati, i cui progetti e realizzazioni vennero sempre affidati ai più famosi artisti dell'epoca. Per questo il massimo del loro mecenatismo, raggiunto nell'arco di tutto il '500, fu esaltato, oltre che dalla grande cultura e ricchezza personale, anche dall'operosità della valente schiera di artisti che con il passare degli anni lavorò alle loro dipendenze. Ma i Farnese non si limitarono esclusivamente a valorizzare l’aspetto artistico della Contea di Ronciglione. Mentre Castro veniva considerato “il granaio del Ducato”, a Ronciglione importanti opere di regolazione del lago di Vico consentirono lo sviluppo di numerosi opifici industriali alcuni dei quali hanno funzionato fino alla seconda metà del novecento. Si trattava di ferriere, ramiere, mulini, cartiere, ecc.. La presenza delle cartiere favorì lo sviluppo di stamperie dalle quali uscirono moltissimi volumi di ogni genere. Una particolarità è rivestita dalle carte da gioco (c.d. “minchiate” ) prodotte in gran numero in queste stamperie.
Il XVII secolo vide la piena decadenza del Ducato di Castro; furono accesi a Roma i cosiddetti "Monti Farnesiani" ([5]) che coprivano tutti i debiti dei Farnese. Questi titoli, essendo garantiti con le rendite di tutto il ducato, ne condizionarono il futuro. L'invidia di una potente famiglia romana, i Barberini ([6]), spinse il papa Urbano VIII a mettere alle strette il Duca Odoardo Farnese mediante sanzioni economiche tali da indurlo ad una eventuale cessione del ducato. Nel 1641 ne seguì una guerra che si risolse nel 1644 a favore dei Farnese sia per l'incompetenza delle truppe pontificie sia per un energico intervento della Francia. Odoardo Farnese mantenne quindi il possesso dei suoi ducati ed ottenne una proroga sulla scadenza dei debiti. Nel 1646, salito al trono di Parma Ranuccio Farnese ed al trono pontificio Innocenzo X, la situazione non cambiò. Il Papa, spinto dai numerosi creditori e dalla cognata donna Olimpia Pamphili Maidalchini che ambiva ad ampliare i suoi possedimenti nel Viterbese ai danni dei vicini Farnese, pretese la restituzione di tutti i debiti. Il pretesto che fece scoppiare una seconda e definitiva guerra fu l'assassinio del neo-vescovo di Castro mons. Cristoforo Giarda, avvenuto nel marzo del 1649 nei pressi di Monterosi, mentre si stava recando a prendere possesso del suo vescovado. A Roma attribuirono subito questo crimine a sicari mandati dal Primo Ministro del duca di Parma e la punizione sia del Primo Ministro sia dei sicari non bastò ad evitare i tragici sviluppi della situazione. Nel maggio 1649 le truppe pontificie invasero i territori del ducato ma, a differenza di Castro, la Contea di Ronciglione non disponeva di ingenti opere di fortificazione e per questo motivo i vari paesi furono costretti a soccombere, addossandosi le ingenti spese per il mantenimento delle truppe pontificie. Il 2.9.1649 con un grande spiegamento di forze, dopo un breve assedio, Castro venne costretta alla capitolazione. Nonostante nell'atto di resa si specificasse che i cittadini di Castro non sarebbero stati molestati [..]nelle persone, nell'onore e nei beni[..], la città venne letteralmente rasa al suolo ed i suoi abitanti dispersi nei vari paesi dello Stato. La demolizione fu sistematica e tutti gli edifici vennero smontati pietra per pietra; tale opera, di inaudita ferocia, durò tre mesi ed a Caprarola venne data comunicazione che la distruzione era stata quasi completata con una lettera del 4 novembre. Il Papa impose che la manodopera per i lavori di demolizione venisse fornita o pagata dagli abitanti stessi, i quali non dovevano mai più tornare in quei luoghi e tanto meno tentare di ricostruire le loro case. In realtà poi queste spese furono sostenute anche da tutte le altre città dello Stato; Caprarola pagò nel 1650 (in varie rate) la somma totale di 1.350 scudi. Tutta questa operazione suscitò grande scalpore per la notevole influenza che i Farnese avevano presso le varie Corti europee. Nessuno seppe dare una spiegazione concreta al motivo di tanto accanimento contro i poveri abitanti della città. In queste condizioni Ranuccio si vide costretto a ratificare la vendita del ducato con atto del 19.12.1649 e con possibilità di riscatto, pagando il debito in due rate entro 8 anni. Nel 1660, non avendo rispettato il termine di pagamento, il ducato venne dichiaratamente incamerato dalla Santa Sede. Per intercessione del re di Francia, con il trattato di Pisa del 12 febbraio 1664, i Farnese ottennero altri 8 anni di proroga. Nonostante il duca ed i suoi successori provassero più volte a pagarlo, per svariati motivi il riscatto non venne mai accettato dalla Chiesa fino a che, nel 1672, il territorio del ducato passò definitivamente sotto la giurisdizione della Camera Apostolica. Il ducato di Castro tornò ancora all'attenzione della politica internazionale quando, nei Preliminari di Firenze al Trattato di Tolentino (19.2.1797), al punto 8, fu fatto esplicito riferimento al ripristino della sua piena autonomia sotto la sovranità dei Borbone di Napoli, discendenti dei Farnese. La Santa Sede, soltanto a prezzo di pesanti concessioni, riuscì a far retrocedere dalla posizione assunta il generale Napoleone Bonaparte ([7]).
[1] Nel CORPUS NUMMORUM ITALICORUM (Vol. XIV - 1933 - Roma), risulta che la zecca di Castro coniò numerose monete di vario tipo, generalmente uguali a quelle in uso in tutto lo Stato Pontificio. Lo Scudo era d'oro; d'argento erano il Paolo, il Grosso, il Mezzo Grosso ed il Baiocchetto; d'altro metallo più vile era il Quattrino. Dall’Archivio Storico Comunale Caprarola risulta che a Caprarola e nella Contea di Ronciglione circolavano anche altre monete e precisamente: il Giulio o Baiocco (del valore di 1/10 dello Scudo), il Carlino (del valore di 2/3 del Giulio, ossia 75 centesimi di Scudo) ed il Denaro (del valore di 1 Quattrino ossia 1/5 del Giulio). [2] PASSINI L.: “Caprarola. Il Paese e la sua Storia” – Roma – 2002. A.S.C. - Consigli (1543-1551), f. 125 - 18.6.1551: [..]se intende che il papa fa gente: et tucto lo stato de equi sta in turrore[..]. Inoltre, ff. 126-127 - 24.6.1551: si dice che sono giunti numerosi soldati ed altri dovranno arrivare, causando danni ai cittadini di Caprarola; i Priori consigliano la Comunità di provvedere al loro sostentamento [..]..salverem la roba et l honor de tucta la terra..[..]. [3] A.S.C. - Consigli (1552-1557), f.105 - 28.6.1556: [..]Jl R.mo card.le de Farnese vole che la Com.ta habia da sterrare tutto lo sterraglio di pietro ni la roccha. et vole absolvere la Com.ta di tutte le spese da farsi in Castro.[..]. [4] Il Cancelliere, il Camerario o Camerlengo (Tesoriere), il Castellano, il Balio (Messo comunale e Banditore), il Procuratore dei poveri, il Commissario dei lasciti, il Depositario dei pegni, i Mastri delle strade, il Depositario dell'Abbondanza e vari altri, tutti eletti a sorteggio. [5] La loro esatta denominazione era: "Monte del Piano dell'Abbadia e Farnese" (1600) e "Monte del Piano dell'Abbadia e Farnese, seconda erettione" (1605). Il "Monte" era un istituto di credito creato da papa Clemente VII dopo il sacco di Roma del 1527. I relativi titoli di credito, chiamati "Luoghi di Monte", valevano cento scudi e venivano immessi nel mercato finanziario ove potevano essere negoziati come un qualsiasi altro titolo. [6] Il loro grande accanimento sembra derivasse, oltre alla tradizionale invidia che la nobiltà romana provò sempre nei confronti dei Farnese, da una proposta di matrimonio da parte dei Barberini per il primogenito di Odoardo, che venne in malo modo rifiutata dal Farnese.
[7] FILIPPONE G.: "Le relazioni tra lo Stato Pontificio e la Francia rivoluzionaria" - Milano - 1961.
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